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Ciao,
sono Stefano Gatti e questo è il centoquarantunesimo numero della newsletter LaCulturaDelDato: dati & algoritmi attraverso i nostri 5 sensi. Le regole che ci siamo dati per questo viaggio le puoi trovare qui.
🚀 Questa puntata è sponsorizzata da “Data Masters”.
Perché l'Intelligenza Artificiale è così importante?
L'IA sta trasformando il modo in cui lavoriamo e prendiamo decisioni, rendendo cruciale per le aziende migliorare l'alfabetizzazione digitale e l'adozione di tecnologie avanzate per rimanere competitive. L'integrazione dell'IA nei flussi di lavoro e la collaborazione uomo-computer richiedono investimenti mirati nel miglioramento e riqualificazione dei dipendenti. Con Data Masters, AI Academy italiana in ambito Intelligenza Artificiale e Data Science, aiutiamo centinaia di aziende di vari settori a mappare le competenze iniziali dei dipendenti e disegnare insieme dei percorsi di formazione personalizzati.
Quindi la risposta da cercare oggi non è se usare o meno questa tecnologia, ma come imparare ad usarla con consapevolezza, implementando best practice per massimizzare l'efficienza e il suo utilizzo etico.
Per questo motivo, con il supporto di massimi esperti internazionali come la Dottoressa Donatella Taurasi, professoressa all'Università di Berkeley in California, e il team didattico di Data Masters, abbiamo creato il primo programma italiano per professionisti non tecnici ed aziende come guida completa all'utilizzo pratico e sicuro di queste tecnologie: il corso “Intelligenza Artificiale Per Tutti” è ora disponibile sulla nostra piattaforma.
Il primo passo per competere nell’era dell’AI. Vedi il programma completo
Ed ora i cinque spunti del centoquarantunesimo numero:
👃Investimenti in ambito dati e algoritmi. Successo imprenditoriale e lavorativo: tra unicorni, fortuna e il valore dell’esecuzione
Uno dei dubbi più comuni tra gli startupper, dopo la loro prima esperienza di successo significativo (e ne conosco diversi che me lo hanno confessato), è se il loro successo sia dovuto (quasi) interamente alla fortuna. Di questo discute molto bene Jason Cohen, un imprenditore che ha davvero costruito un unicorno e che, nonostante il suo successo, rimane perplesso sull’effettivo ruolo della fortuna nel suo percorso. L’approfondimento che ti consiglio è probabilmente il migliore che abbia letto sul tema e si conclude con una riflessione che, dal mio punto di vista esterno (non avendo mai fatto l’imprenditore), trovo decisamente equilibrata: “Overall success in business doesn’t only mean you “got lucky,” it means you used luck, taking advantage of the good, identifying and ejecting the bad.” La fortuna, quindi, è una condizione necessaria ma non sufficiente per avere successo come imprenditore.
Se aspiri a fare l’imprenditore, soprattutto se sei giovane e hai ancora commesso pochi errori, ti consiglio di leggere i suggerimenti di Sam Altman su come realizzare una start-up di successo. Puoi leggerli nella versione originale in inglese o nella traduzione italiana realizzata dall’ottimo team di
. Anche l’ordine di presentazione degli ingredienti necessari che Altman elenca è interessante e significativo: “Per avere una startup di successo sono necessari: una grande idea (compreso un grande mercato), un team eccellente, un prodotto eccellente e un’esecuzione eccellente.” Ma la cosa più importante tra le quattro, quella che fa davvero la differenza (presupponendo che ci siano anche le altre tre), è sicuramente l’esecuzione. Altman lo sottolinea con forza nel finale: “Ricordate che ogni grande idea è stata avuta da almeno mille persone. Una di queste ha effettivamente successo. La differenza sta nell'esecuzione. È una gran fatica, e tutti vorrebbero che ci fosse un altro modo per trasformare ‘l'idea’ in ‘successo’, ma nessuno l'ha ancora trovato.” Concordo al 100%.Ma creare un unicorno o una start-up di grande successo economico non è – e sarà sempre meno – l’unico modo per generare impatto e per avere una carriera lavorativa soddisfacente.
In un mondo in cui liberi professionisti e piccole imprese sono in crescita in tutte le geografie, diventa sempre più importante ascoltare anche i consigli di chi è riuscito a costruire business economicamente sostenibili senza crescita esponenziale, garantendosi al contempo un'ottima qualità di vita. Paul Jarvis, in “Company of One”, esplora molto bene questo tema. E l’ottimo
ne parla nella sua newsletter in questo post “Work after organizations.”🖐️Tecnologia (data engineering). Low-Code e AI: La rivoluzione (non troppo) silenziosa che sta cambiando lo sviluppo software
Quando scrissi, quasi tre anni fa, questa introduzione per quello che sarebbe stato il link più cliccato della settimana, non immaginavo quanto l'uscita di ChatGPT nel novembre 2022 avrebbe accelerato il settore: "Il trend del low-code development, che riguarda tutti quei tool in grado di velocizzare lo sviluppo di software riducendo la soglia di conoscenza necessaria, è molto forte e credo continuerà a crescere. Ho parlato di soglia di conoscenza e non di competenza, perché non esclude certo gli sviluppatori né penalizza quelli più esperti. Al contrario, sta trasformando il loro lavoro, dando sempre più spazio alle capacità architetturali e progettuali."
Vale davvero la pena leggere ancora il post di Ben Lorica, "Measuring the popularity of low-code development tools and databases", in particolare per due aspetti.
Il primo riguarda lo scenario proposto per la parte bassa dello stack tecnologico, ossia i database, che non è cambiato molto (l’immagine sotto è tratta dal post originale). Come accennato anche nella scorsa newsletter, dove ti ho parlato dell'evoluzione di Airtable e Baserow, lo sviluppo si è concentrato nel rendere i database sempre più "chiavi in mano" come servizio (Daas). Inoltre, più di recente, è stato aggiunto uno strato di AI che semplifica l'interazione degli utenti con i database e l'integrazione con lo strato superiore, cioè le piattaforme di sviluppo software.
Il secondo riguarda invece la parte superiore dello stack, cioè le piattaforme e gli strumenti di facilitazione dello sviluppo software, dove c’è stata una vera e propria rivoluzione, a partire dai code assistant, già menzionati nel post di
(vedi figura 1 presente nel post originale), in cui si fa riferimento ad un allora ancora poco conosciuto GPT-3 Code Generator 🙂.👂🏾Organizzazione e cultura dei dati e algoritmi nelle organizzazioni. Come evitare il fallimento nei progetti di Generative AI: consigli pratici e risorse utili
Stiamo attraversando un periodo molto intenso nelle organizzazioni, soprattutto quelle di grandi dimensioni (ma non solo), per quanto riguarda i progetti e le iniziative di formazione sull’uso efficace della generative AI. Gli approcci adottati sono i più diversi e spesso legati alla cultura aziendale e alla gestione dell’innovazione. In generale, noto una migliore gestione – in termini di risultati positivi – quando questi progetti seguono un paradigma agile. Non ho però statistiche specifiche da condividere su questo aspetto, ma posso suggerirti alcuni approfondimenti scritti da parte di esperti internazionali, che hanno una visione più ampia e che confermano alcune delle mie osservazioni più empiriche e aneddotiche.
Per cominciare, ti consiglio un post di Ben Lorica su Gradient Flow, che fa il punto sulle principali sfide e buone pratiche nell’implementazione di progetti di generative AI in molte aziende. Lorica attinge anche a studi di grandi società di consulenza, come McKinsey e Deloitte, ma soprattutto alla sua esperienza con diverse realtà aziendali. Il titolo del post è piuttosto provocatorio: “Why Your Generative AI Projects are Failing?” Tuttavia, l’analisi è estremamente approfondita e suddivisa per ambiti di sfida: dalle problematiche relative alla qualità dei dati e dei modelli, passando per le sfide implementative, fino alla misurazione del valore e agli aspetti più organizzativi. A mio avviso, è il miglior articolo di tipo “enciclopedico” sul tema che abbia letto finora.
Sempre sul tema dei consigli per evitare il fallimento ti segnalo il post di Ethan Mollick: “AI in Organizations: Some Tactics” , anche se meno enciclopedico ma altrettanto pratico.
si concentra su un aspetto poco discusso ma molto presente in azienda, ovvero quello del "Secret Cyborg": chi utilizza la generative AI nel proprio lavoro ma fatica a condividere le sue buone pratiche.Aggiungo infine un link molto utile che consulto ogni mese: una lista dei 100 tool di generative AI più utilizzati in ambito lavorativo. Questo elenco serve a evidenziare due aspetti: da un lato, mostra che molte aziende hanno già creato progetti di successo; dall'altro, ti fa capire che non sempre è necessario partire da zero: adottare uno strumento già esistente può essere una valida opzione.
👀 Data Science. Machine Learning: Algoritmi o no? Un tuffo nella storia e nelle definizioni
“In matematica e informatica, un algoritmo è la specificazione di una sequenza finita di operazioni (dette anche istruzioni) che consente di risolvere tutti i quesiti di una stessa classe o di calcolare il risultato di un'espressione matematica.
Un algoritmo deve essere:
- finito: è costituito da un numero finito di istruzioni e deve sempre terminare;
- deterministico: partendo dagli stessi dati in ingresso, si devono ottenere i medesimi risultati;
- non ambiguo: le operazioni non devono poter essere interpretate in modi differenti;
- generale: deve essere applicabile a tutti i problemi della classe a cui si riferisce, o ai casi dell'espressione matematica.”
Questa è la definizione più rigorosa di algoritmo che arriva dalla voce italiana di Wikipedia e che mi serve per introdurre gli approfondimenti che ti consiglio oggi in ambito data science, e che hanno a che vedere più con la storia che con la tecnologia in senso stretto.
Ogni tanto, infatti, mi assale un dubbio amletico: tutta la famiglia di soluzioni (e uso “soluzioni” per cercare di essere il più neutrale possibile) del machine learning può davvero essere definita “algoritmo”? Il dubbio nasce dal punto che ho evidenziato in grassetto: l'aggettivo “deterministico”. In senso stretto, infatti, tutto il machine learning potrebbe essere escluso dalla definizione classica di algoritmo.
, che è stato nostro ospite nella puntata 79 e che di algoritmi ne sa qualcosa 🙂, sembra pensarla così. Nel suo ottimo libro “Il pensiero computazionale: dagli algoritmi al coding”, scritto con Fabrizio Luccio, si legge: “Il pensiero computazionale è un processo mentale per la risoluzione di problemi attraverso una serie ordinata di istruzioni precise: l’algoritmo.”Alla fine, come spesso accade, la questione ruota attorno alla definizione, più o meno rigida, che si adotta o – in questo caso – a una possibile evoluzione della definizione stessa. Infatti, ponendo la domanda a ChatGPT, emerge una risposta decisamente convincente:
“Sì, il machine learning (ML) può essere considerato come una famiglia di algoritmi. In effetti, il machine learning consiste in una serie di algoritmi progettati per permettere a un sistema di ‘imparare’ dai dati e fare previsioni o prendere decisioni basate su quell’apprendimento. In pratica, nel machine learning, un algoritmo non è programmato per seguire una sequenza di istruzioni fisse per raggiungere un risultato; piuttosto, è progettato per identificare e apprendere dai pattern nei dati in modo da migliorare la sua performance nel tempo. Per esempio, un algoritmo di regressione lineare o di classificazione supervisionata è costruito per ‘adattarsi’ ai dati di input e affinare le sue previsioni.”
È la stessa conclusione a cui arriva Ajit Jaokar, professore all’Università di Oxford, in questo post che ti consiglio di leggere per ripercorrere in pochi minuti la storia “recente” degli algoritmi di machine learning. Jaokar, infatti, scrive: “Lo scopo di un algoritmo è quello di risolvere un problema. Nel nostro caso, per la scienza dei dati, il problema è guidato dai dati. La scelta dello strumento (algoritmo) viene fatta in base al problema da risolvere, alle risorse, ai vincoli e anche alla moda (trend).”
Se vuoi invece andare molto più indietro e ripercorrere tutta la storia “umana” degli algoritmi, ti stra-consiglio il libro di Luigi Laura, che è stato nostro ospite nella puntata 116. Nel suo libro “Breve e universale STORIA degli ALGORITMI”, ripercorre la storia degli algoritmi partendo, ad esempio, dall’algoritmo (non banale) della moltiplicazione di numeri.
E Luigi Laura, dedicando una parte significativa del libro agli algoritmi (ora posso dirlo) di machine learning che modellano una parte del mondo moderno, sembra propendere per una definizione più ampia 🙂.
👅Etica & regolamentazione & impatto sulla società. Politica, fake news e deepfake: siamo Noi a fare il gioco della disinformazione?
Siamo troppo preoccupati dall’aumentata capacità della tecnologia – intelligenza artificiale in primis – e troppo poco da come la usiamo e da quanto conosciamo davvero noi stessi. Questa è l’estrema sintesi di una serie di approfondimenti, un po’ disomogenei per certi versi, che ti propongo oggi se vuoi evitare di demonizzare (troppo e ingiustamente) i deepfake e la disinformazione che ne può derivare. I deepfake, infatti, alla fine sembrano artefatti molto più “umani” di quanto potremmo pensare.
Se vuoi “affrontare” questo percorso, ti consiglio di partire con un articolo, “Mindless Reply,” decisamente ben fatto della prestigiosa Columbia Journalism Review, che conclude: “nel campo della disinformazione politica, i deepfake generati dall'IA non sono un problema così grande. Lo è invece la nostra suscettibilità al gossip.” Ma l’articolo va letto per capire tutte le sfumature di questa conclusione e le connessioni con la realtà politica che stiamo vivendo.
Il secondo approfondimento, sempre sul tema deepfake e politica, è stato scritto su Repubblica da Riccardo Luna, che commentando due ricerche, di Nature e Science, invita a ripensare il ruolo dei giornali, che sembrano essere in primis gli amplificatori delle notizie false, sempre più a caccia di un nostro clic, surrogato di un vero e sostenibile modello di business che l’informazione fatica a trovare almeno dall’era del Web 2.0.
E per scendere un po’ più dentro di noi e capire perché siamo spesso attaccati a credenze ormai smentite dalla scienza e più conservatori di quanto pensiamo, ti suggerisco di leggere questo numero della newsletter settimanale di Massimo Polidoro, che ci spiega, dal punto di vista neuroscientifico, cosa si nasconde alla base di tutto ciò.
Infine, il senso di appartenenza a una comunità, con tutto quello che comporta – nel bene e nel male – anche in termini di credenze, sembra essere un fattore importante nella nostra vita. Infatti come racconta in questo video Nicola Triglione, medico esperto di longevità, proprio l'appartenenza e la vita in comunità sembrano favorire una vita lunga e in salute!
📅 Nel Mio Calendario (passato, presente e futuro)
Domenica scorsa è uscito nella newsletter Legge Zero, sotto forma di vocale, un mio commento su cosa è. secondo la mia esperienza, la cultura del dato. La newsletter
, di cui sono un lettore zero dal numero zero, va letta per la ricchezza dei suoi contenuti da cui prendo spesso spunto per arricchire questa newsletter e la mia cultura del dato! 🙂
Se hai ulteriori suggerimenti e riflessioni sui temi di questo numero o per migliorare questa newsletter scrivimi (st.gatti@gmail.com) o commenta su substack.
Se ti è piaciuta e non sei ancora iscritto lascia la tua mail qui sotto e aiutami a diffonderla!
Alla prossima!
Uno degli ospiti illustri che cito nella newsletter di ieri Paolo Ferragina mi ha mandato un vocale dove mi ha raccomandato per me e per tutti i lettori de "la cultura del dato" questo breve paper https://dl.acm.org/doi/pdf/10.1145/3132724 scritto da David Lorge Parnas e che esplora il concetto di Heuristic Programming associandolo proprio a tutto lo stream di machine learning. L'ho letto due volte ieri perchè mi è piaciuto molto. Pur essendo scritto nel 2017 come tutte le cose di valore invecchiano molto bene! Grazie ancora Paolo Ferragina per il contributo ulteriore che hai dato alla discussione. Se lo leggete fateci sapere cosa ne pensate!